Niang tra orologi, gioielli e una società svizzera che reclama i suoi 250mila euro
L'ex attaccante del Milan M'Baye Niang al centro di una controversia con una società svizzera da cui avrebbe acquistato 250mila euro di gioielli
Ora ci sono le carte, i messaggi, persino una foto. Eppure non bastano. M’Baye Niang, ex attaccante dei Girondins de Bordeaux, è finito al centro di una vicenda dai contorni surreali, ma giudiziariamente chiusa – almeno per ora – a suo favore. Una società svizzera, la VMV, specializzata in servizi di concierge di lusso per clienti facoltosi e sportivi, gli chiede il pagamento di 250.000 euro per una fornitura di orologi e gioielli. Lui respinge ogni accusa, ha vinto in tribunale, ma la questione potrebbe riaprirsi su un altro fronte: quello penale.
Tutto parte da una foto e alcuni messaggi
Patek Philippe, Rolex, bracciali in oro bianco e targhette personalizzate con diamanti neri: è questa la merce che secondo la VMV fu consegnata al calciatore nella primavera del 2021. A provarlo, secondo la società elvetica, ci sarebbero le fatture, una bolla di consegna e una foto che ritrae Niang con i preziosi al polso. Ma la Corte d’Appello di Bordeaux ha demolito, pezzo per pezzo, il castello accusatorio.
Secondo i giudici, non c’è prova certa che la firma apposta sulla bolla sia quella del giocatore. Non basta nemmeno la conversazione WhatsApp, in cui un interlocutore – attribuito dalla VMV a Niang – si scusa per i ritardi nei pagamenti: «Avevo una partita, scusa», «Normalmente dovresti avere i soldi domani», «L’avrai all’inizio della settimana», «Chiama un avvocato, così facciamo un riconoscimento di debito». Per il tribunale, quel “linguaggio familiare” non costituisce un vincolo giuridico e nemmeno dimostra che l’autore sia effettivamente Niang.
Doppia vittoria in aula, ma la partita non è finita
Dopo mesi di solleciti, la VMV decise di passare alle vie legali. Prima il Tribunale di Bordeaux, poi la Corte d’Appello hanno però respinto tutte le richieste della società. Motivo? Mancanza di prove formali, assenza di un contratto scritto, impossibilità di identificare in modo certo l’autore della firma e dei messaggi. La VMV ha provato a sostenere che fosse prassi, nel mondo del lusso calcistico, effettuare consegne sulla base della sola fiducia. Ma la “consuetudine” non è bastata.
La società svizzera non si arrende. «Il mio cliente si ritiene vittima di una frode», ha spiegato il nuovo legale Olivier Nicolas, annunciando il ricorso ai tribunali penali. Una mossa che riaccende la tensione e apre un altro fronte legale. Per ora, però, Niang è uscito indenne. Il suo avvocato, Romain Vanni, è netto: «Le richieste della VMV sono infondate e sono già state respinte due volte».
L'entourage nega, ma il dubbio resta
Chi sta vicino al giocatore respinge ogni accusa e rilancia: si tratterebbe, al massimo, di una transazione commerciale mai formalizzata. Nessun contratto, nessuna cifra certa, nessun obbligo. La VMV sostiene l’opposto. Intanto, i 253.990 euro richiesti restano virtuali, come i preziosi che, secondo i giudici, non è certo siano mai stati pagati o consegnati in via ufficiale.
In mezzo, resta la foto, resta una valanga di messaggi, e resta una vicenda che rischia di trasformarsi in un intricato caso penale, in bilico tra lusso, fiducia tradita e carte mancanti. Con un’unica certezza, per ora: la partita legale non è ancora chiusa.