Addio a Pino Wilson, capitano della Lazio del primo scudetto

Pubblicata il 07/03/2022
Addio a Pino Wilson, capitano della Lazio del primo scudetto
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«Sono stato capitano nel bene e nel male. Ho sempre fatto gli interessi dei miei compagni, senza riguardi per gli altri. Ecco perché mi sono fatto dei nemici. Di solito, chi comanda è scomodo». Gran parte dell'avventura calcistica di Pino Wilson, scomparso a 76 anni, può essere racchiusa in queste parole, dettate qualche anno fa. Con lui se ne va un altro pezzo (per certi versi il più importante) della irripetibile Lazio del 1974, raccontata e quasi sezionata da libri, articoli, aneddoti, dichiarazioni e ricordi. Di quella squadra, Wilson fu leader in campo e fuori, per esempio quando andava a trattare i premi partita con il presidente Lenzini, che di soluto cedeva bonariamente al carisma del suo capitano. Si sa che quella Lazio si reggeva miracolosamente sulle liti e sulle spaccature in clan, convertite chissà come ogni domenica in compattezza granitica. E che il clan principale era proprio costruito attorno all'asse Wilson-Chinaglia. E poiché uno era forbito, colto e raffinato, e l'altro irruento, generoso e rozzo, ci volle poco per affibbiare a Wilson la parte dell'anima nera, del Richelieu, di colui che ispirava abilmente le “mattane” di Chinaglia. Un ruolo che il capitano, negli anni della maturità, liquidava con un sorriso: «Altro che ispiratore occulto: voi non immaginate nemmeno cosa usciva fuori dalla bocca di Giorgio quando se la prendeva con me».
Sul piano puramente calcistico, Pino Wilson aveva lo spessore del campione. In quel calcio che affidava il comando della difesa alla figura del libero, lui per anni fu (a detta di moltissimi) il libero più forte d'Italia: alto poco più di un metro e 70, svettava nelle mischie in virtù di una elevazione prodigiosa e della sua dote migliore: il senso del tempo. Wilson aveva sempre e comunque il tempo giusto: quando saltava, quando chiudeva, quando intercettava. E quando sfoderava il suo pezzo forte: la scivolata, adottata generosamente anche in area di rigore, cosa generalmente sconsigliata, perché se si sbaglia la scivolata in area, o si fa rigore, oppure si esce irreparabilmente dall'azione. Wilson, però, non sbagliava praticamente mai. Sbagliò però allo scadere degli anni Settanta, entrando da protagonista nel primo, devastante scandalo scommesse del nostro calcio. Quasi tutti i coinvolti ebbero una seconda chance, anticipata dalla amnistia dovuta alla vittoria mondiale del 1982. Lui invece, già trentacinquenne, sprofondò nell'oblio. Per molti anni fu una sorta di fantasma evocato dai nostalgici, poi, in tempi piuttosto recenti, tornò a farsi vedere, a parlare e a vivere la sua Lazio, come opinionista radiofonico. Attorno a lui, si è ricompattato il gruppetto dei reduci della squadra scudetto, legati indissolubilmente dal tempo e dai ricordi. Ed è stato proprio Wilson uno dei più attivi nel rinvigorire la memoria di quella squadra, dando vita a revival e happening suggestivi (“di padre in figlio”). Solo di una persona non poteva parlare: ogni volta che il ricordo andava a Tommaso Maestrelli, la voce del vecchio capitano si incrinava e finiva strozzata. Ora raggiungerà l'antico maestro e l'amico Giorgio Chinaglia nella tomba della famiglia Maestrelli. Il che conferma ancora una volta come la Lazio del 1974 sia una bizzarra e affascinante anomalia nella storia del calcio italiano.