Logo

24/03/22, 17:00

Sei anni senza Cruijff, il genio che cambiò il mondo del calcio

Immagine notizia
Sei anni fa, il 24 marzo 2016, fu come perdere un pezzo di giovinezza, in un colpo solo. La morte di Johan Cruijff, piegato da un tumore ai polmoni, ebbe per molti attempati calciofili proprio questo effetto, perché il “Profeta del gol”, come l'aveva definito Sandro Ciotti in un famoso film-documentario, era il massimo emblema di un calcio perennemente giovane, con i capelli al vento, capace di spazzare via vecchi ruoli e convenzioni, sia in campo che fuori. Il “calcio totale”, che all'inizio degli anni Settanta dalla piccola Olanda invase l'Europa, sovvertendo gerarchie consolidate e stravincendo Coppe dei Campioni. Una rivoluzione così radicale non c'era mai stata prima e non ci sarebbe più stata dopo. Anche perché non si trattava solo di calcio, ma di vita: quella banda di libertini con larghi basettoni incarnava perfettamente le pulsioni nate dai movimenti giovanili del '68, con tutto quello che ne seguiva. E Cruijff era il rivoluzionario principe: senza ruolo perché era ovunque, con la sua velocità, la sua resistenza e la sua tecnica fenomenale. In Italia, inizialmente non ce ne accorgemmo: l'Ajax di Cruijff nel 1969 arrivò alla finale di Coppa dei Campioni con il Milan di Rocco, più esperto e maturo. Finì 4-1 per i rossoneri e la superstar in quell'occasione fu Gianni Rivera, che a fine stagione vinse anche il Pallone d'Oro. Ma il cambiamento era alle porte e proprio il vecchio calcio italiano ne avrebbe fatto le spese. Nel 1972 l'Ajax trovò in finale l'Inter. Il tecnico nerazzurro, Invernizzi, pensò di dirottare su Cruijff il giovane Oriali, che dal primo secondo di gioco si incollò all'olandese in una marcatura ossessiva, ben documentata proprio nel film “Il Profeta del gol”. Finì 2-0 per l'Inter, e Cruiff fece doppietta. Arrivarono i mondiali del 1974 e il cammino degli arancioni fu esaltante, fino alla finale. L'epilogo sembrò precisamente la lotta del nuovo contro l'ancien régime rappresentato dalla Germania e dal suo “Kaiser” Beckenbauer. Ma alla favola, quella volta mancò il lieto fine e l'orco fu il terribile Gerd Müller, che con una perfida giravolta mise a segno il gol del 2-1 che avrebbe retto fino alla fine. Al tempo dei mondiali, Cruijff aveva già lasciato l'Ajax per rifare grande il Barcellona. Sarebbe ritornato con i lancieri solo da anziano, vincendo due campionati in due anni e “coltivando” un suo erede molto credibile, Marco van Basten. E non era finita: quando il suo club lo giudicò troppo vecchio, lui approdò in campo nemico, nientemeno che al Feyenoord (dove giocò con il giovane Gullit). Una “eresia” mai completamente accettata neanche dai tifosi del club di Rotterdam, ma premiata dall'ultima impresa, la vittoria in Eredivisie, a 37 anni. Di solito i fuoriclasse non si rivelano buoni allenatori, recita un vecchio adagio. Cruijff, invece, continuò a vincere e fare rivoluzioni anche in panchina. I germi del tiki taka di Guardiola sono precisamente nel Barcellona che vinse la Coppa dei Campioni nel 1992, battendo in finale la Samp. «Io ero un giocatore di talento ma non capivo nulla di calcio. Lui ci ha aperto un mondo affascinante», ha ricordato proprio Guardiola, cogliendo il messaggio “sovversivo” di colui che ha eletto a suo maestro: «Era un tipo che ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita».